Da dove veniamo…
Iniziammo allora, 1992, con questa presentazione…
“Quando il Dott. Marco Ricceri e l’On. Merli mi chiesero di occuparmi del loro movimento – IL MOVIMENTO AZZURRO, una sorta di gruppo ecologista legato alla politica, appendice strumentale del loro ed anche mio partito – mi si pose subito il problema di “come” mi dovevo porre di fronte al problema ambientale.
La cosa più naturale sarebbe stata quella di elencare i vari elementi critici in materia ambientale e cominciare ad agire.
L’ambito operativo per tematica che mi era stato dato era “l’Arno ed il suo bacino”.
Secondo l’operare classico avrei dovuto denunciare le varie disfunzioni “ecologiche” del suddetto bacino. Molti dei miei colleghi del “Direttivo Nazionale del Movimento Azzurro” usavano questo metodo d’azione.
Questa operazione non mi convinceva, era un “problem solving” ma non un “problem finding”. Come dire risolvere un problema senza comprenderne le origini, gli sviluppi, insomma senza capire “gli ultimi perché” mi sembrava un operare senza un giusto criterio.
Proprio seguendo la scuola della comprensione del problema” mi resi conto che a monte del problema ecologico non stanno solo una serie di “azioni e comportamenti scorretti” bensì la mancanza di un filo conduttore di controllo e di guida dei vari processi di pensiero scientifico e non.
Per me questo “funzione di controllo e guida” sta nella morale.
In seguito mi sono reso conto che il tutto lo si poteva ricondurre alla presenza o all’assenza dei valori etici. Mancanza di canoni etici soprattutto nell’esercizio delle professioni, delle attività imprenditoriali, nei comportamenti sociali in genere.
Secondo questo metodo di valutazione accade che se l’Arno è sporco non lo è solo perché qualcuno scarica in Arno del detersivo o dei liquami ma piuttosto perché un ingegnere chimico progetta, abbagliato dalla luce del solo profitto, un detersivo non biodegradabile, come pure gli amministratori pubblici non progettano depuratori fognari, così come i costruttori di lavatrici non fabbricano lavatrici con filtri interni ed altro.
Ma perché questa carenza dell’ingegnere o del politico o dell’imprenditore?
Una volta, quando un professionista o un imprenditore operava era sempre attento ai valori etici professionali, alias aveva una propria deontologia.
Oggi non esiste più, per nessun professionista o imprenditore, un riferimento ai comportamenti etici imposti dal fatto di essere iscritto ad un ordine professionale o esercitare un’attività professionale di un certo valore.
Il mio modo di pensare dunque riduce di molto la responsabilità dell’attore nell’inquinare mentre aumenta notevolmente la responsabilità del fornitore dello strumento di inquinamento.
Con il gruppo, prevalentemente professionisti e specializzati in particolari materie (ci sono architetti, medici, fotografi professionisti, giornalisti, insegnanti, ingegneri, avvocati ed imprenditori) ci siamo messi a studiare l’incidenza delle varie professioni sul fattore inquinamento e ci siamo accorti che, prevalendo nel mondo la logica del profitto e del denaro sui valori etico-religiosi, massima parte di responsabilità, per quanto riguarda il decadimento dell'”oikos”, sta nella perdita dei valori deontologici dei vari professionisti. Professionista declassato a tecnico e non più scienziato.
Abbiamo agito secondo il “problem finding” (vv. pagina interna dove abbiamo affrontato questo argomento) e ci siamo accorti che bisognava “azionarci” a creare una “nuova coscienza religioso-etico-politica”.
Nel mondo il problema dell’etica ambientale è da considerarsi uno dei movimenti più importanti di quest’ultimo scorcio di secolo e per questo ho accettato la proposta (l’impegno?) di Ricceri e di Merli di occuparmi di ecologia: già mi occupavo di problemi etico/giuridico/politici.
Ma studiare senza poter comunicare fra di noi membri di questo sodalizio, senza aver degli appunti sul “discusso”, senza aver un “verbale” di riunione che certificasse l’originalità dei nostri pensieri (abbiamo fatto spesso l’amara esperienza di usurpazione di nostre idee da parte di qualche “operatore vispo” e noi teniamo all’originalità del nostro lavoro ed all’esclusiva del nostro “cianciare”), ci sembrava riduttivo, per questo abbiamo fondato una rivista: THE PROFESSIONAL COMPETENCE.
Questo mezzo di comunicazione scritta potrà servire a quanti lo desiderano (già molti nostri amici si sono fatti sotto: i professionisti hanno bisogno di strumenti per poter comunicare), quale contenitore per poter pubblicare monografie di particolare importanza. Ovviamente la pubblicazione darà “titolo” in quanto la rivista ha carattere di legalità perché è registrata regolarmente al tribunale.
Il titolo in inglese della rivista lo abbiamo voluto essenzialmente per due motivi, per dare immagine “globale” alla nostra ricerca, per non escludere anche un’eventuale pubblicazione “bilingue” e quindi di maggior valore, ma soprattutto lo abbiamo voluto per “vezzo”.
Chi vorrà partecipare ai lavori è “benvenuto”, chi vorrà leggerci e considerarci ci farà molto onore, chi invece ci vorrà “stroncare” con la critica “gratuita” ci farà piacere se non ce lo dirà!
Il direttore.”
Oggi continuiamo con rinnovato entusiasmo e con un ben venuti!