Dic 25

Vi proponiamo un’interessante lettura “dell’Arte pittorica”  del nostro Enrico Guarnieri.

Si sa, Enrico ci ha abituati ad un metodo innovativo nell’analizzare la pittura, da Lui intesa come manifestazione di genio e pensiero in termini globali… pittura connessa alla società, all’ambiente, alle altre espressioni artistiche… insomma … la pittura per Lui è oicos, luogo dove abita l’uomo nella sua interezza e nella sua complessità espressiva.

Marcello Sladojevich

Nell’800 il concetto di ecologia era ancora in divenire, o meglio era ancora da definire perlomeno nell’accezione che oggi noi accettiamo come consolidata. Però la necessità di puntualizzare attenzioni particolari all’ambiente ed alla natura si cominciò ad abbozzare proprio in quel periodo poiché gli effetti della prima rivoluzione industriale sortirono forme organizzate di produzione che saranno la causa prima, nel secolo successivo, di dissesti e problematiche ambientali.

Telemaco Signorini - “Una mattina sull’Arno”

Dobbiamo dire che le prime riflessioni su uomo-ambiente-natura si posero più che in Italia, all’estero contribuendo allo sviluppo di nuove forme di pensiero filosofico, storico, letterario, economico, culturale in genere e non di meno all’elaborazione di certe forme di sensibilità in attività tipiche come quelle pittoriche, superando confini geografici e politici. Quindi anche se ancora l’Italia, non unita, era rimasta legata ad un’economia prettamente agricola che aveva come perno centrale la mezzadria, comunque idealmente fu toccata da questa nuova “emotività”.

In questo contesto storico ambientale nacque il movimento dei macchiaioli, effetto di grandi fermenti sia di pensiero che di azione anche in virtù di un mondo incontaminato che richiamava al sapore dell’antico o meglio al computo del tempo cadenzato da natura e vita.

Telemaco Signorini “Pascoli a Castiglioncello”

Dovremmo allocare questo indirizzo di pensiero e pittorico nel periodo che va dal 1848 al 1858 in cui si concretizzarono le speranze e le aspettative già abbozzate nei primi moti carbonari del ’20 come la liberazione del suolo italiano da ingerenze straniere: consolidata visione illuminista dell’uomo e della comunità libera da ogni condizionamento. Proprio in questo momento un gruppo di giovani artisti che non si riconosceva più negli insegnamenti delle Accademie di Belle Arti considerate ormai obsolete, di stampo conservatore e molto appiattite sulle idee della “Restaurazione”, costituì un “cenacolo” con lo scopo di scambiarsi le opinioni artistiche e politiche in assoluta libertà. Questa aggregazione prendeva vita nel Caffè Michelangelo ubicato nel cuore di Firenze, nell’allora Via Larga, oggi Via Cavour, meta di incontro di artisti ed intellettuali.

La Toscana dell’800 favorì, per una moderata politica del duca Leopoldo II di Lorena, l’afflusso di numerosi artisti in fuga dai piccoli “staterelli” reazionari costituitisi dopo il congresso di Vienna e proprio Firenze risultò il miglior rifugio per “uomini di pensiero libero” rivelandosi anche un’occasione di incontro e confronto fra le varie scuole pittoriche. Gli artisti del Caffè Michelangelo, pur essendo un gruppo eterogeneo, erano coesi da comuni idealità: fede in Garibaldi, volontà di liberare l’Italia e soprattutto di riformare il pensiero pittorico troppo legato al mondo neoclassico.

Vincenzo Cabianca “La filatrice”

In questo contesto ci si affidò per lo più ad esempi francesi, guardando in maniera particolare ad artisti della caratura di Delaroche e Dechamp. Questi giovani artisti controcorrente iniziarono ad usare soggetti pittorici sempre di carattere storico ma calati in un ambiente reale sottolineandoli con vigorosi “chiaro-scuro”.

In questa situazione di “verismo pittorico” un ruolo particolare lo svolse la Scuola di Staggia” (Staggia piccolo paese fra Siena e Firenze ndr.), che pur essendo ancora legata all’idealizzazione romantica del paesaggio, ebbe il grande pregio di condurre gli artisti a dipingere in aperta campagna.

Raffaello Sernesi “Marina a Castiglioncelo”

Se il Caffè Michelangelo aveva dato il primo segnale di cambiamento al nuovo, verso il 1855/56 l’atmosfera subì un cambiamento repentino di indirizzo quando alcuni pittori rientrati a Firenze da un soggiorno francese iniziarono a far circolare i concetti e “l’arioso modo” di dipingere tipico degli artisti che formavano la scuola di Barbizon.

Pittori quali Giovanni Fattori, Silvestro Lega, Odoardo Borrani, Telemaco Signorini, Raffaello Sernesi, Vincenzo Cabianca, Cristiano Banti, Vito D’Ancona, poco più tardi lo stesso Giuseppe Abbati, e grazie anche all’influenza del romano Nino Costa, iniziarono ad eseguire schizzi e disegni dal vero: le prime vere opere macchiatole nascono allora e si possono allocare fra il 1859/61.

Giuseppe Abbati "Il Mugnone alle Cure"

Opere in cui ben si nota la volontà degli artisti di sottoporre a fredda analisi cromatica qualsiasi soggetto trasportato sulla tela, considerandolo principalmente un problema di masse, colori e di luci, rifiutandone la rilevanza contenutistica ed il suo messaggio ideologico. Quindi possiamo affermare che i Macchiaioli erano quasi indifferenti al soggetto da rappresentare ma privilegiavano i mezzi pittorici da impiegare, esprimendosi con vibranti contrasti cromatico-luminosi.

I soggetti erano semplificati perché riassumevano gli aspetti essenziali delle cose e del creato e se questo modo di dipingere era simile a quello già praticato nella pittura del 1600, adesso viene elevato a dignità di opera compiuta e non di semplice abbozzo, che era una pittura libera e di virtuosa interpretazione della natura, molti furono i corollari della corrente macchiaiola: i critici sono concordi nell’affermare che le manifestazioni più espressive si svilupparono nella “Scuola di Castiglioncello” e in quella di “Piagentina(lembo campagna fiorentina percorsa dal torrente Affrico e delimitata dal fiume Arno ndr). Questi artisti avevano un senso quasi religioso della natura e delle sue componenti animate che ritraevano in tutti gli aspetti. Era l’oicos (la casa) ove abita la vita che li attraeva.

Dipingendo i contadini al lavoro non facevano critica sociale come i francesi Courbet, Daumier e Millet ma descrivevano un mondo semplice, operoso ed i soggetti pittorici adottati esprimevano una dignità quasi rinascimentale.  Si potrebbe dire che fotografavano ed interpretavano il mondo naturale che di lì a poco sarà stravolto dalla incipiente società industriale.

Jean-François Millet "Contadine"

La loro pittura era un archivio della memoria e del sentimento. D’altra parte i problemi della società francese non erano simili a quelli toscani.

Quello che ci deve fare riflettere è come con il loro particolare uso del colore abbiano saputo cogliere il rapporto armonico fra uomo e natura cadenzato dal tempo, dal trascorrere delle stagioni, da una vita che va alla meta; ciò che oggi con il nostro correre convulso abbiamo quasi del tutto smarrito.

Honoré Daumier “Fanciulli”

La figura più rappresentativa del movimento dei macchiaioli è il livornese Giovanni Fattori quale, anche se per darsi tono si professava ateo, con la sua pittura riesce molto bene ad  abbozzare l’idea di Dio immanente nella natura, inveramento del creato.

Giovanni Fattori “Maremma: raccolta del Fieno”

Essendo più intuitivo che speculativo, in molte sue opere coglie l’essenza più profonda delle cose e quel suo commuoversi davanti a dei semplici buoi o a dei paesaggi irrorati dalla calda luce del solegli ha consentito questa forte simbiosi con il Creatore: non ce lo dicono le sue parole ma le sue opere inconsapevolmente simili al “Cantico” di San Francesco o a quei bellissimi versi manzoniani dedicati al creato “…dovunque il guardo giro, immenso Dio ti vedo nell’ opre tue ti ammiro ti riconosco in me…”.

Per questo negli ultimi tempi, un’arte ritenuta per anni minore come è stata ritenuta quella dei macchiaioli, è ritornata alla ribalta del mondo della cultura riuscendo a coniugare insieme natura, creato e vita.

written by Enrico Guarnieri \\ tags: , , , , ,


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