NON SOLO REMAKE! Ripubblichiamo una conferenza del 2001 che vorremmo che si rileggesse oggi, attualizzandola alla luce degli accadimenti avvenuti in questi ultimi nove anni! Forse l’Autore lesse in anticipo certi eventi?
Dagli atti del convegno sulla GLOBALIZZAZIONE
Organizzata dal MOVIMENTO AZZURRO
Potenza 24 novembre 2001
Intervento di Marcello Sladojevich
Consigliere Nazionale del Movimento Azzurro
Spesso il termine globalizzazione assume sapore prevalentemente negativo, così come lo era una volta il termine “capitalismo” ed è sinonimo di americanismo e di predominio occidentale. Queste due cose vengono intese come elementi che distruggono la cultura e le tradizioni locali.
Per questo gli operatori sociali, i sindacati, i politici, gli studiosi, gli scienziati debbono cercare di dare senso ad un progetto che individui il minimo comun denominatore di un’ “etica globale” o meglio un “progetto per un’etica mondiale, prima di parlare così diffusamente di globalizzazione”, come ha sostenuto lo studioso tedesco Hans Kung in un suo famoso lavoro di ricerca.
Noi impegnati nel sociale, che ogni giorno ci confrontiamo con i problemi contingenti di una società in movimento, ma anche con la compressione della persona umana, ci accorgiamo come la globalizzazione dell’economia, della tecnologia e della comunicazione, abbia reso ancor più urgente la riflessione su la necessità di un’etica mondiale. Questa generica globalizzazione non governata da valori e da progetti per l’uomo ha infatti generato più che mai nuove forme di una globalizzazione dei problemi. Per questo più che sui soli problemi spiccioli dobbiamo concentrarci sulla definizione di una globalizzazione dell’etica.
In questo senso l’etica mondiale, pur non fondandosi sulla globalizzazione – necessariamente per l’etica dei valori – diventa di dimensione universale, cioè abbraccia tutto, esseri viventi e cose dell’universo.
Sempre il sociologo Kung ha individuato quattro caratteristiche peculiari della globalizzazione perché esse possono essere la base di un consenso ragionevole tra sostenitori e avversari della globalizzazione.
La globalizzazione è
– inevitabile, inarrestabile, irreversibile: essa è stata resa possibile dalla fine della divisione del mondo in Est e Ovest e soprattutto dalle innovazioni tecnologiche;
– ambivalente: con guadagni e perdite, con persone, aziende, località, nazioni e regioni che salgono e scendono;
– imprevedibile: con effetti principali previsti e effetti collaterali non voluti, con miracoli e disastri economici; con prognosi economiche a lungo termine che non sono più sicure di quanto lo siano le previsioni meteorologiche a lungo termine;
– pilotabile: la globalizzazione non è un fenomeno naturale come un terremoto o come un fronte temporalesco, ma può essere influenzata e guidata, entro certi limiti, da governi nazionali, banche centrali e istituzioni internazionali. Di fatto negli anni passati l’IMF (Fondo monetario internazionale), la Banca mondiale, i ministri finanziari dei paesi sviluppati (G5 poi G8, poi G10 ecc) hanno preso in considerazione tutta una serie di misure di ordine politico che potrebbero incidere negativamente in termini di libertà individuale e comunitaria per l’uomo, per gli esseri viventi e per l’equilibrio della natura.
Per questo crediamo che il mercato globale esiga un solido contesto e ordinamento politico globale, un ordinamento-quadro, regole che il mercato stesso non può darsi da solo e che necessitano a sua volta di un’etica globale.
Secondo noi il nuovo assetto economico mondiale, la cosiddetta “New economy”, è una “nuova economia” ma non una nuova “teoria economica”: diversi gli orizzonti ma stesso metodo e soprattutto manca un “piano di ripartizione” dei benefici.
Per questo la nostra epoca ha acuito l’urgenza di un‘etica globale proprio attraverso quella che spesso viene ambiguamente detta “New economy“, a proposito della quale alcuni economisti si domandano dubbiosi se sia mai esistita, visto che è invecchiata tanto rapidamente! (Altro che sviluppo senza fine, nella Silicon Valley, 1.500.000 disoccupati prodotti in un semestre (ed ancor prima dell’attentato alle torri. Non ci sono scuse! NDR attuale, 2010).
Quindi noi riteniamo piuttosto, più che parlare di nuovi metodi ed oggetti esterni all’uomo, si debba prestare maggiore attenzione alla persona umana secondo quella missione che ogni uomo ha da svolgere sulla terra, nell’”oicos” (oicos inteso come luogo ove l’uomo-persona si trova in connessione con tutti gli altri soggetti, viventi e non, Creato), e sarebbe perciò meglio parlare di nuova ecologia e non di nuova economia.
Non v’è dubbio che esistono nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione, mediante le quali l’economia mondiale è penetrata anche nei paesi meno sviluppati. Pertanto cambiamenti radicali nella forma di organizzazione della società, nelle pratiche aziendali, nella produzione, quindi una nuova economia, ne sono la conseguenza, come il rischio per la natura (cose ed esseri viventi) sono problemi attuali.
Ma queste nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione, della produzione comportano nuove leggi economiche? Abrogano i vecchi principi economici? Conducono ad una nuova teoria dell’economia, a una nuova scienza economica, ad una nuova scienza della società?
Non ci sembra. E nemmeno ci convincono quanti ci propinano il “modello economico” di crescita economica senza inflazione e boom senza fine in borsa. Il crollo di questi ultimi mesi ne è un esempio tangibile.
Quindi non si è creata una nuova economia ma una nuova prassi del mondo economico, cioè l’economia classica non si è liberata di quegli aspetti ingannevoli che la rendevano non pienamente utile al genere umano, piuttosto la si è geneticamente mutata per farla rimanere con gli stessi vizi: stessi difetti, nessun miglioramento pratico dal punto di vista del benessere.
Si è cercato di incentivare il consumo e non il senso del consumo correlato agli abitanti del mondo, creando perciò anche rischi latenti per la sicurezza ambientale.
Per esempio ha avuto senso privatizzare le società elettriche con il solo scopo di metterle sul mercato e quindi, sì renderle competitive sui costi unitari del kilowattore, ma poi predisporre “trappole” per incrementare i consumi energetici individuali, magari prospettando utilità artificiose? Quini più consumi per la logica del mercato… ma quanto e quale stress ambientale potrà produrre questa scellerata scelta? E poi queste scelte giovano all’uomo?
In tal senso una risposta emblematica ce la può dare il costo/consumo per la comunicazione: non c’è dubbio che il costo degli scatti e delle conversazioni telefoniche costino meno di 10 anni fa, ma il costo complessivo per la telefonia di una famiglia media si è moltiplicato per 5 volte e oltre! Così sta per accadere anche sul fronte dei consumi elettrici, il che comporterà maggior spreco di risorse della terra, maggior inquinamento, maggior povertà per i paesi terzi e sottosviluppati, il sud del mondo, e maggior spesa per la middle class dei paesi ricchi. Allora quale ricchezza effettiva?
Il modello che ci viene prospettato, da alcuni sociologi-economisti americani è stato definito la “bubble-economy”, l’economia delle bolle di sapone. Infatti negli Stati Uniti il boom dei consumi degli anni passati ha fatto quasi azzerare il risparmio personale dei cittadini medi. Adesso il fenomeno si è trasferito nelle vecchia Europa. Le conseguenze appaiono già da ora gravissime: aumento della povertà delle famiglie, aumento della disoccupazione, deriva autoritaria dei sistemi politici, perdita di identità delle entità statuali e perdita del senso della Pubblica Amministrazione (NDR del 2010). La magia della nuova tecnologia e del libero mercato ha dimostrato la sua pericolosità sociale per le civiltà strutturate come quelle occidentali ed altrettanto disastri sociali ed economici potrebbe produrre per i paesi emergenti e poveri del sud del mondo, a meno che non si pongano dei correttivi di tipo “etico”.
Nei nuovi modelli economici, nella febbre della borsa e di uno sviluppo solo “finanziario” che ha pervaso anche le categorie sociali meno dotate di strumenti – ah quanti colleghi e amici parlano di borsa ed azioni così come una volta parlavano di sindacato, politica, ecologia, ambiente, organizzazione e solidarietà! – ravvisiamo un rischio grave per la “comunità” e per l’uomo, per l’”oicos”.
Infatti la primaria importanza data al “fine” dell’accumulo finanziario ha fatto perdere di vista lo scopo essenziale del lavoro produttivo, quale strumento necessario per far crescere il lavoratore e la propria famiglia nel rispetto delle cose e degli esseri viventi.
Il lavoro dovrebbe rimanere ancora oggi un mezzo di crescita non certo un fine. I denari sono una necessità strumentale per i bisogni della persona non certo un godimento per il solo fatto di possederli. Quindi in questo cupo scenario dobbiamo vigilare perché il modello di sviluppo, il libero mercato senza regole, non diventi una trappola mortale per il mondo inteso come esseri viventi e cose unite da un equilibrio voluto da Dio, o comunque dal Grande Architetto.
Non vogliamo assolutamente veicolare una cultura resistente ai cambiamenti, non lo dobbiamo per onestà mentale, ma piuttosto vorrei partecipare ad elaborare un metodo non una teoria, che sia di garanzia per il “mondo”.
Vogliamo partecipare a stabilire delle regole (norme di diritto positivo ma con forti riferimenti all’ius naturale) che tengano conto delle necessità del singolo, ma anche della comunità e del mondo, del più forte ma anche delle protezioni per i più deboli: in termini pratici per sensibilità, vocazione e per funzione vogliamo/dobbiamo partecipare ad elaborare una nuova, o meglio, una vera etica degli affari, visto che i parametri della vecchia morale sociale – sia questa marxista o liberista – sono saltati.
Per esempio nella International Herald Tribune del 21 dicembre 2000 si leggeva che “le regole che governano la globalizzazione dovrebbero proteggere gli interessi dei poveri e non solo i ricchi, e i benefici di un aumentato commercio e di una aumentata produzione globale dovrebbero essere divisi tra tutti e non gravata sui più”. Quanto era profetico questo intervento (NDR 2010)!
Quanto riportato era riferito all’opinione condivisa da molti uomini di cultura e da politici autorevoli: da uomini di formazione socialdemocratica europea come Tony Blair (Anthony Charles Lynton Blair detto Tony Blair, Edimburgo, 6 maggio 1953, politico britannico. È stato il primo ministro del Regno Unito dal 2 maggio 1997 al 27 giugno 2007), Wim Kok (Wim Kok Bergambacht, 29 settembre 1939, politico olandese, primo ministro per due mandati dal 22 agosto 1994 al 22 luglio 2002), Góran Persson (Hans Göran Persson, Vingåker, 20 gennaio 1949, politico svedese. È stato primo ministro della Svezia dal 22 marzo 1996 al settembre del 2006, per conto del Partito Socialdemocratico Svedese), e Gerard Schroder, (Gerhard Fritz Kurt Schröder (Mossenberg-Wöhren, 7 aprile 1944) è un politico tedesco, che ha ricoperto la carica di Cancelliere della Germania dal 1998 al 2005). ma anche conservatori come Aznar (José María Alfredo Aznar López, Madrid 25 febbraio 1953, un politico spagnolo, è stato il quarto Presidente del Governo della Spagna dopo la costituzione democratica del 1978, nella legislatura compresa fra il 5 maggio 1996 e il 17 aprile 2004) o Schússel (Wolfgang Schüssel, Vienna, 7 giugno 1945, è un politico austriaco. Ha ricoperto la carica di Cancelliere d’Austria fra il 2000 e il 2007).
Costoro hanno “parlato” della necessità, per il mondo, di una progressiva perequazione.
Vedete, lo strappo che ci fu nel 2001 – Francia, Inghilterra, Germania – durante il vertice europeo, con la messa fuori gioco anche dell’esecutivo della UE presieduto da Romano Prodi, non crediamo che volesse essere solo un segnale per affermare un super potere di certi Cofondatori UE, ma piuttosto lo possiamo leggere anche come rifiuto di certe scelte meramente liberiste di altri paesi, Italia compresa. Scelte magari nascoste da “false privatizzazioni” come il caso ENEL, Telecom, Poste, Ferrovie e conclamate nella loro virulenza proprio con il governo italiano retto da Prodi, poi da Dalema, poi riconfermato dal governo Berlusconi: stessi vizi che potrebbero minare anche lo stesso governo Berlusconi… forse Lui no! ma certamente minare la nostra solidità civile e l’unità nazionale.
Era uno strappo o un avvertimento a quanti rimandano le regole dell’agire al solo mercato e non all’azione moralizzatrice dell’homo faber?
In un’intervista al “El Pais” proprio Aznar parlava “della necessità di definire che cosa si debba intendere oggi per globalizzazione e stato sociale”. Jospin (Lionel Jospin, 12 luglio 1937, politico francese, Primo Ministro di Francia 1997-2002) poi, a suo modo ha dato una risposta concreta in merito a questo argomento e proprio in relazione alla privatizzazione dell’EDF (la società elettrica francese): “per motivi d’interesse pubblico, il libero mercato dell’energia elettrica comincia dopo i cancelli delle centrali” Lui, al contrario del caso Italia, non ha fatto nessuna GENCO! Non ha consegnato la società elettrica nelle mani della speculazione meramente finanziaria e nelle mane di manager spregiudicati!.
Molti studiosi stanno discutendo da tempo sulla necessità della ricerca di un linguaggio, o meglio di un codice etico condiviso universalmente, in merito a queste nuove teorie del libero mercato.
Dunque se quanto sopra detto è credibile, sempre più ci si deve affrettare a dettare delle regole, o quantomeno a ristabilire il governo dell’etica più che l’autogoverno del mercato!
La nostra non vuole essere una posizione precostituita contro la globalizzazione o il mercato, anzi, noi crediamo sia nel flusso di risorse nel globo, disponibili per tutti, e nella libera circolazione delle merci. Ma proprio perché vediamo i risultati positivi della globalizzazione minacciati dalla carenza di un “codice etico”, riteniamo nostro dovere ammonire gli operatori del sociale con le stesse parole di Kung: “Se nel corso dell’attuale processo di globalizzazione dovesse imporsi come criterio supremo il desiderio del guadagno e soltanto esso, dovremmo prepararci a conflitti e crisi sociali gravi. L’attuale forza del capitale e la relativa debolezza della “politica” non dovrebbero trarci in inganno al riguardo. Noi possiamo infatti ritenere che la società nel suo insieme non accetterebbe senza alcuna resistenza una ricaduta nel liberalismo del XIX secolo e in un capitalismo puro”. Ricordo inoltre il caso degli Stati Uniti, dove dopo il rialzo in Borsa degli anni ’20, il crollo della Borsa del 1929 e la successiva grande depressione, sotto il presidente Franklin D. Roosevelt fu costruito, mediante il “nuovo corso” (New deal) e contro il “lasciar fare“, lo stato sociale americano.
Per questo aderiamo a quanto sostiene il professar Klaus Schwab, fondatore e presidente del Forum dell’economia mondiale, quando riafferma i valori dell’europea “economia sociale di mercato“. Egli ritiene tuttavia che finora le grandi iniziative di privatizzazione come anche le grandi compagnie non abbiano dato risposte sufficienti all’erosione dei concetti della sicurezza e della prevedibilità nella vita degli individui. D’altro lato, gli amministratori di grandi patrimoni finanziari, dei fondi pensione e dei fondi di investimento, hanno fatto durante la crisi finanziaria del Sud-Est asiatico l’esperienza che non basta mirare a grandi guadagni a breve termine. A medio e a lungo termine sono importanti anche la fedeltà contrattuale e l’affidabilità dei partners, la scarsa corruttibilità di una società, la solidità delle banche e il funzionamento delle istituzioni politiche. Tutti questi sono problemi politici ed etici, i quali mostrano che la prestazione non è realmente tutto e che una responsabilità eticamente fondata è necessaria sia per il bene comune che per l’economia e lo stato.
Pertanto chi fa ambientalismo e politica non si schiera affatto semplicemente contro la globalizzazione o le privatizzazioni, bensì adotta una posizione più differenziata, più attenta e più vigile ai valori globali: non solo denaro e resa finanziaria, produttività, ma senso di responsabilità per una società più equilibrata.
Abbiamo dunque bisogno di regole. Questa necessità deve essere sperimentata fin dal livello più basso della società.
Noi ci battiamo, ci dobbiamo battere, per un nuovo ordinamento del sistema produttivo, economico e finanziario.
Le regole. Ci vogliono le regole!
Non si capisce perché il traffico aereo diventato immensamente complesso e pericoloso abbia bisogno di alcune regole e controlli elementari accettati su scala mondiale, e perché l’altrettanto complessa e a suo modo pericolosa circolazione internazionale del denaro, del mercato del lavoro e del commercio non ne avrebbe bisogno.
Basta parlare qui di un’autoregolazione del libero mercato e della produzione? Non crediamo sia sufficiente e nemmeno in tal senso ci sentiamo i soliti “bastian contrario” e contestatori dell’attuale nostro ordinamento politico.
A sostegno delle nostre affermazioni prendiamo spunto da un articolo apparso nel 2000 sull’autorevole Die Zeit: “…non sarebbe tempo di realizzare una nuova “architettura finanziaria globale” (global finaticial architecture), espressione che anche il Presidente Clinton e Robert Rubin, suo ministro delle finanze, adoperarono al culmine della crisi finanziaria del sud-est asiatico e che non sta evidentemente ad indicare che, nella passata architettura della finanza internazionale, tutto sarebbe stato sbagliato?”
Pure Klaus Schwab (Klaus Schwab Martin, 30 Marzo 1938, è un tedesco economista, meglio conosciuto come il fondatore e presidente esecutivo del World Economic Forum. Cofondatore con sua moglie e sua ex segretaria, Hilde, della Fondazione Schwab per l’Imprenditoria Sociale) aveva allora avanzato questa richiesta: “Abbiamo bisogno di regole più globali, anzitutto per gli investimenti oltre confine. Inoltre abbiamo bisogno di un’autorità mondiale per l’ambiente. Il Fondo monetario internazionale dovrebbe ulteriormente sviluppare l’architettura della finanza mondiale. Inoltre un’organizzazione internazionale del lavoro dovrebbe creare meccanismi su scala mondiale per standard del lavoro. Il problema non sta tanto negli imprenditori, quanto piuttosto negli stati. Essi non dovrebbero rinunciare solo a una parte della loro sovranità, ma anche perseguire l’attuazione di regole indirizzate all’esaltazione dell’uomo”.
Il professor EJ. Radermacher Ulm, sostiene che comunque l’economia, sia mondiale che locale, come la singola azienda debba tendere “verso uno sviluppo sostenibile a beneficio di tutti e dell’ambiente e quindi debba intessere un dialogo sociale globale ed onnicomprensivo tra varie organizzazioni che insistono in una società”.
Anche Václav Havel (Václav Havel è uno scrittore, drammaturgo e politico ceco. È stato l’ultimo presidente della Cecoslovacchia ed il primo presidente della Repubblica Ceca) ci ammonisce “a riflettere sulla dimensione più importante del compito di far ridondare a beneficio di tutti le scelte comuni, vale a dire la ricerca di nuove fonti, di un senso della responsabilità nei confronti di tutti coloro che partecipano ad un processo”.
La globalizzazione è o dovrebbe essere, proprio se la sosteniamo, molto più di una semplice concezione economica.
Se vogliamo che la globalizzazione dei mercati, della tecnologia e della comunicazione, del lavoro sia durevole e non di compressione delle realtà fisiche e morali del mondo, bisogna che i guadagni economici da essa derivanti siano perseguiti in modo socialmente e ambientalmente sopportabile, bisogna che si tenga conto di determinati standard sociali.
Non ci può essere né giustizia né ecologia, né pace senza standard sociali predefiniti. Ma per definire questi contorni ci vuole assolutamente una riflessione su standard etici globali.
La globalizzazione, al fine di garantire che l’attività economica, rimanga soggetta a fini umani e sociali senza creare disastri ambientali, ha bisogno di una base politica forte, ma non autoritaria, di un forte senso dello stato e della democrazia il tutto sorretto da una solida cornice etica.
Illuminanti le parole di V. Havel: “Abbiamo bisogno di rafforzare la società civile, la quale è una garanzia contro un governo arrogante e uno sfrenato potere del mercato. I valori sottostanti dovrebbero essere chiari – una società aperta e inclusiva, ma basata su responsabilità e su diritti”
Dicembre 8th, 2010 at 13:27
E’ vero fu un articolo premonitore.
Ma ti vorrei amminire: nella vita chi riesce ad anticipare i tempi con una lettura “preveggente”,
se ha potere diventa un riformatore formidabile come lo fu per esempio il Gran Duca di Toscana…
ma se non si ha il “potere”, nè mezzi economici e politici, si diventa una “Cassandra”.
Sicuramente saresti sato un ottimo amministratore ma… accontentati di essere ricordato dagli amici come un buon intellettuale e soprattutto come una persona onesta e “galantuomo”.
Mario