PRESENTAZIONE del Pittore GIOVANNI MAZZI di Enrico Guarnieri
In qualità di presidente degli “Amici del Caffe’ Michelangelo”, Associazione culturale dedita anche alla promozione di giovani artisti, desidero, nei limiti delle mie possibilità, portare a conoscenza di un più vasto pubblico l’opera del pittore Giovanni Mazzi, anche se l’artista , benché ancora giovane abbia già un ricco curriculum espositivo.
La mia conoscenza di Giovanni e della sua pittura risale a circa sette anni fa e precisamente al settembre 2002, presentatomi dal comune amico Marcello Sladojevich fine scrittore e saggista nonché valente ed intuitivo critico d’arte, in occasione della collettiva a scopo benefico “FAILE mostre all’ARCA” allestita al circolo Arca di via del Sole a Firenze. In tale mostra l’artista presentava un quadretto, in cui una serie di mani era analizzata in modo anatomico e prospettico; quest’opera, per la sua semplicità d’impianto e soprattutto per il suo soggetto poco accattivante, mi rivelò il coraggio del suo autore, incurante di ben presentarsi e ben apparire in una delle sue prime uscite pubbliche.
Da subito mi incuriosì questo giovane dalla personalità spiccata e già in possesso di un buon bagaglio tecnico culturale; pertanto volendo conoscere più approfonditamente la sua opera, decisi di sottoporgli un’eventuale collaborazione che si concretizzò nel maggio del 2005 nella mostra collettiva “In Formato Umanistico” presso la Galleria Il Paradisino di Modena e nell’aprile del 2006 nella personale “I prigionieri dell’anima” allestita in cooperazione col musicista Federico Mengoni, presso la Sala Chico Mendez al Cirolo Arci di S. Donnino a Campi Bisenzio.
Giovanni estrapola il filo conduttore del suo percorso artistico dalla pittura cinquecentesca e dal simbolismo, visitati non con passiva epigonia né con citazione nostalgica, ma come mezzo di ispirazione per la rielaborazione di quella forma e quella plasticità che unite al pensiero filosofico gli permettono di esprimere le sue sensazioni e il suo essere. Questo perchè il pensiero del Mazzi non contempla l’uomo antropocentrico dell’umanesimo né le certezze del Primo Rinascimento, tutt’al più si possono individuare delle convergenze con i dubbi che attanagliarono il secondo periodo rinascimentale e che andarono ad incrinare la profonda convinzione umanistica dell’uomo misura di tutte le cose ed artefice del suo destino.
Infatti i progetti e le teorie che a livello ideale risultano perfetti, nella loro attuazione pratica si rivelano carenti e destinati al fallimento, perché alla prova dei fatti l’uomo risulta inadeguato a portare a pieno compimento le proprie idee. Trovo, invece, con osservazione del tutto personale, una forte corrispondenza fra la sua pittura e la cultura barocca, riscontrabile non nella forma degli scorci prospettici arditi e dei panneggi sconvolti, ma nella volontà di analizzare ed esplorare le contraddizioni e le paure umane che, nonostante la Controriforma, proiettarono verso una nuova epoca ed una nuova coscienza di sé. Proprio questa analisi dell’arte passata gli consente di sviluppare al meglio la sua ricerca, perché per andare al futuro bisogna prima gettare uno sguardo al passato, in quanto le virtù ed i vizi umani sono sempre stati gli stessi in tutte le epoche: cambiano solamente i loro modi attuativi, determinati dal periodo storico.
Anche Giovanni mette l’uomo al centro del suo sentire e del suo fare artistico, però non un uomo rampante e pieno di certezze, ma un esseresofferente e disagi ato consapevole solamente dei propri limiti, prigioniero dei propri vizi e delle proprie contraddizioni, sempre incalzato da nuove domande per le quali non ha una risposta completa e certa, ma perfettamente determinato a portare avanti il suo autonomo percorso intellettivo anche se non raggiungerà mai la sublimazione.
L’artista non crede alla perfezione interiore e perciò neanche la ricerca, ben sapendo che non è propria della natura umana, preferendo analizzare le reazioni individuali ai vari casi della vita e proprio perché tali sempre soggettive e variabili nel tentativo di individuare le cause e nella ricerca di una risposta anche se incompleta. Infatti attraverso l’arte non si può pretendere di dare una risposta sicura ai numerosi quesiti esistenziali, proprio perché il fare artistico non è che una componente della nostra interiorità, perciò limitato. Però il suo uomo è individuo, quindi non è massificato perché i suoi dolorosi rovelli lo portano comunque ad una crescita e le sue inevase domande, sempre ritornanti, lo mantengono vivo ed unico, facendolo divenire simbolo di ribellione; ribellione incruenta, portata avanti con la forza delle idee e per questo più efficace. Perciò è un uomo che rimane ai limiti di una società dai rapidi cambiamenti di mode col fine di veicolare l’eccesso di produttività, dove impera la voglia di strafare e di stupire, con la snervante serialità delle immagini e l’eccessivo stimolo a cercare sempre il più: più PIL, più energia, più competitività ecc., il tutto amplificato da un rumore continuo ed eccessivo.
Questa società del successo facile e ad ogni costo, contraddistinta dalla sua volubilità, considera l’individuo alla stregua di un manichino buono solamente per indossare abiti rigorosamente griffati e adatto solamente ad essere imbonito nell’acquisto di questo o quel prodotto, considerandolo privo di spirito critico e di libere scelte; in contrapposizione a tutto ciò ben vengano il “Caffè degli Zeri” o un’ipotetica “Associazione del Meno”.
Inoltre la pittura del Mazzi non è solo cruda denuncia ma anche amore,che si rivela nel tentativo di dare voce agli emarginati e ai disagiati, in una sorta di pietas laica che è il contrario dell’indifferenza a cui tutti più o meno siamo soggetti; un amore che lo porta ad indagare sulla tela la complessità della natura umana divenendo pertanto mezzo d’analisi per una crescita interiore e tappa intermedia per una nuova comprensione. L’artista lo fa nel solco della tradizione fiorentina del disegno a cui unisce le riflessioni sulla filosofia antica e moderna, in particolare , a mio giudizio, sul pensiero di Nietzesche:”Per vivere l’uomo ha bisogno di costruirsi un senso, in vista della morte che l’implosione di ogni senso”.
Si snoda così un percorso figurativo e di pensiero che diviene specchio del contemporaneo, attraverso una pittura, a volte simbolica che incarna i moti dell’animo umano visti attraverso la sua introspezione, pur sotto lo stimolo della realtà concreta anche se parzialmente trasfigurata, accentuando in scala maggiore quei colori che più hanno suscitato la sua reazione emotiva e in cui l’oggetto non sarà mai considerato tale ma come segno dell’idea concepita dal soggetto. Pertanto crea le sue opere in una dimensione spazio temporale diversa dal reale, quasi sognata e come nel sogno, espressione dell’inconscio dove spicca l’uomo, un uomo nudo, solo con se stesso, non in una nudità erotica, stimolo di piaceri, ma una nudità indifesa senza veli né maschere, che definirei quasi eroica però diametralmente opposta a quella degli eroi neoclassici: l’uomo del Mazzi non è un essere superiore da prendere ad esempio ma diviene eroi nel momento in cui accetta la sua vulnerabilità.
Nelle opere di Giovanni il proscenio è dato da spazi ed ambienti quasi deserti ed isolati, realizzati con toni scuri che vanno dagli ocra, alle terre fino ad una vasta gamma di blu, in una composizione che tiene ancora conto, in questo tempo di horror vacui, dei rapporti fra pieni e vuoti come giuste partiture all’economia dell’opera. La sua pittura va oltre la Pop-Art che ancora oggi, in varie forme, imperversa perché rimette l’oggetto a complemento oggetto e rivendica all’essere la sua predominanza che, attraverso la sua specifica individualità, ripudia la massificazione della società e con diversi nodi espressivi raggiunge lo stesso scopo degli artisti degli anni Sessanta. L’artista ama anche reiterare uno stesso soggetto in più opere che, prevaricandolo, diviene mezzo d’analisi di una forma risultante di fatto sempre nuova e diversa, indagata in ogni sua minima sfaccettatura in un percorso creativo senza soluzione di continuità.
Un discorso a parte merita la serie dei suicidi che sottolinea ulteriormente la sua coerenza, perché l’estremo gesto è visto come ultimo atto per lenire la grande sofferenza determinata dall’emarginazione e dai dolori insopportabili, analizzati in più motivazioni:”Per amore”,”Eroico per causa”, “Per disperazione senile”, “Per disperazione giovanile” e “Per emarginazione”. Questo è un corpus di opere d’importanza nodale nella crescita artistica del Mazzi sia per la volontà di voler affrontare un soggetto così scabroso, sia per l’impegno tecnico usato nella loro realizzazione. Sono varie angolazioni di un dramma che non credo dettato da intenti pietistici né giustificativi, ma dalla volontà di voler capire cosa porta un essere umano a rifiutare la vita, infatti in queste opere non c’è l’esito finale cruento ma viene descritto il momento della decisione o l’attimo immediatamente successivo quando sta per compiersi l’atto finale.
In queste opere si vuole capire soprattutto la causa scatenante che porta gli individui più deboli a rinunciare o a donare la vita senza voler generalizzare,perché l’agire umano non è mai uguale ed ogni individuo ha la propria personale reazione ai vari accidenti della vita. Già da qualche anno l’artista ha voluto intraprendere una nuova sfida con se stesso cimentandosi nella tecnica dell’acquaforte, tecnica più immediata perché, a differenza del colore, non consente ripensamenti o errori e richiede una certa sicurezza di mano e di impaginazione perché il segno inciso non ha a disposizione velature o sovrapposizioni di pigmento e la morsura dell’acido, se non ben calcolata e regolata rovina irreparabilmente la lastra. Questa tecnica dai tempi lunghi d’esecuzione e di difficile realizzazione, consente attraverso il contrasto fra il bianco della carta di fondo e l’infinite variazioni tonali del segno bruno, di raggiungere una forza espressiva che raramente si ottiene con l’olio o la tempera, consentendo all’artista di indagare attraverso il tratto, la forma nella sua essenza primigenia.
Giovanni tratta questa tecnica come espressione autonoma, vista, non come attività collaterale, ma come mezzo alternativo di indagine e d’espressione. Da artista completamente calato nella contemporaneità sente carente la sola espressione pittorica e grafica, completandola con allestimenti scenici considerati quasi paritetici alle opere stesse e spazio ambientale per farci comprendere meglio il loro significato, il tutto ulteriormente completato dalla musica dissonante di Federico Mengoni, interessante musicista contemporaneo, che agisce in sinergia con il pittore e le sue opere. I suoi dipinti sono di denuncia e niente è concesso all’abbellimento e al facile ottimismo, però a osservarli attentamente, sono opere che fanno riflettere e portano pertanto un arricchimento perché il compito dell’artista è quello di presentarci la realtà filtrata dalla sua introspezione e dalla sua maggiore sensibilità per restituircela come rivelazione.