“Vedi, il punto morto del mondo, l’anello che non tiene,
il filo da disbrogliare che finalmente ci metta
nel mezzo di una verità.
Lo sguardo fruga d’intorno,
la mente indaga accorda disunisce
nel profumo che dilaga
quando il giorno più languisce.
Sono i silenzi in cui si vede
in ogni ombra umana che si allontana
qualche disturbata divinità”
(Eugenio Montale)
Il percorso di Roberta Mai è alquanto singolare. Pur vantando un’indiscussa preparazione frutto di studio assiduo e specializzazione, non è una di quegli artisti razionali, tutti tecnica e atelier, avulsi dalla storia e dai “contesti”. Roberta vive in un continuo contatto con la natura, contatto-incontro.
Se approfondiamo la lettura delle opere di questa pittrice “lombarda”, notiamo certe partiture dei suoi lavori, compresi i suoi magnifici affreschi, ove chiare appaiono le evocazioni del mondo non sofisticato della natura: alberi, fiori, animali, corpi umani liberati dai vincoli delle vesti. Allo stesso tempo assaporiamo una ininterrotta provocazione poetica che la spinge ad inventare una nuova realtà, pur mantenendo le sembianza del “visto”, a dare forma e verosimiglianza ad un mondo inesistente ma “probabile”, anzi possibile, ma soprattutto desiderato. Direi che la sua opera abbonda di ricerca esoterica e di simboli.